Scegliere di esaminare un volume come quello di Ettore Mo, Treni (2004) implica la necessità di studiare un fenomeno largamente diffuso che sembra per molti versi rappresentare la nuova letteratura, quella fatta da coloro che vanno a caccia di storie nei luoghi più disparati, remoti e straordinari del pianeta, i quali non si limitano a scrivere articoli per i giornali, ma li convogliano poi in un libro dove protagoniste sono le loro impressioni e le descrizioni del viaggio. A questo fenomeno diamo il nome di reportage narrativo intendendo una categoria di scritti pensati per rendere la realtà leggibile come un romanzo. Il reportage nasce dalla combinazione tra il soggetto che osserva e interpreta la realtà e l’oggetto osservato: la fusione di questi due diversi elementi dà vita a una narrazione in cui l’esperienza personale (e dunque non totalmente oggettiva) e il viaggio come circostanza esteriore al soggetto si fondono e le cose viste e le esperienze vissute diventano protagoniste. Mo in Treni, attingendo dai suoi articoli giornalistici, ha dato vita a pagine avvincenti e rapide, caratterizzate da stile sintetico e vigoroso che si avvicinano alla struttura della novella. L’impiego di stratagemmi narrativi come i dialoghi coinvolgenti, il punto di vista interno, il realismo descrittivo crea una forma nuova tramite la quale il lettore sa che tutto ciò che legge è davvero accaduto. Quindi, se da un lato è vero che parlare di interesse culturale prima che artistico per il reportage narrativo è il modo più coerente per descrivere il genere oggetto di questa analisi, dall’altro è altrettanto vero che molti scritti che identifichiamo con questo nome sopportano bene l’analisi linguistica, rivelando a volte insospettate dosi di letterarietà accanto a contaminazioni di gerghi e del parlato che sono alla base del rapporto comunicativo tra scrittore e lettore.
“L’odore delle cose". I Treni di Ettore Mo: una scrittura fatta per durare?, 2011.
“L’odore delle cose". I Treni di Ettore Mo: una scrittura fatta per durare?
ZANGRANDI, SILVIA TERESA
2011-01-01
Abstract
Scegliere di esaminare un volume come quello di Ettore Mo, Treni (2004) implica la necessità di studiare un fenomeno largamente diffuso che sembra per molti versi rappresentare la nuova letteratura, quella fatta da coloro che vanno a caccia di storie nei luoghi più disparati, remoti e straordinari del pianeta, i quali non si limitano a scrivere articoli per i giornali, ma li convogliano poi in un libro dove protagoniste sono le loro impressioni e le descrizioni del viaggio. A questo fenomeno diamo il nome di reportage narrativo intendendo una categoria di scritti pensati per rendere la realtà leggibile come un romanzo. Il reportage nasce dalla combinazione tra il soggetto che osserva e interpreta la realtà e l’oggetto osservato: la fusione di questi due diversi elementi dà vita a una narrazione in cui l’esperienza personale (e dunque non totalmente oggettiva) e il viaggio come circostanza esteriore al soggetto si fondono e le cose viste e le esperienze vissute diventano protagoniste. Mo in Treni, attingendo dai suoi articoli giornalistici, ha dato vita a pagine avvincenti e rapide, caratterizzate da stile sintetico e vigoroso che si avvicinano alla struttura della novella. L’impiego di stratagemmi narrativi come i dialoghi coinvolgenti, il punto di vista interno, il realismo descrittivo crea una forma nuova tramite la quale il lettore sa che tutto ciò che legge è davvero accaduto. Quindi, se da un lato è vero che parlare di interesse culturale prima che artistico per il reportage narrativo è il modo più coerente per descrivere il genere oggetto di questa analisi, dall’altro è altrettanto vero che molti scritti che identifichiamo con questo nome sopportano bene l’analisi linguistica, rivelando a volte insospettate dosi di letterarietà accanto a contaminazioni di gerghi e del parlato che sono alla base del rapporto comunicativo tra scrittore e lettore.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.