Il percorso di messa a punto e di consolidamento dei modelli di valutazione e di misurazione dei risultati nella pratica professionale delle relazioni pubbliche è partito alla fine degli anni ’70 del secolo scorso e può essere definito sui generis rispetto a quello seguito da altre aree organizzative, come il marketing e la gestione delle risorse umane. È infatti un percorso in cui emerge con evidenza la lentezza con la quale i modelli proposti dagli studiosi di comunicazione hanno assimilato i principi e il linguaggio del management. È parimenti un percorso colmo di sperimentazioni azzardate e di approcci ingenui, a volte privi di solidità scientifica, che si propongono con fini di natura persuasivo–simbolica (Cutlip, Center, Broom, 2000) per giustificare investimenti in comunicazione già realizzati e decisioni già prese. È il caso di alcune formule diffuse nella pratica professionale che prevedono un calcolo rapido, ma talvolta fuorviante, del ritorno economico sull’investimento (ROI) delle attività di comunicazione. I motivi del ritardo con il quale i professionisti di relazioni pubbliche hanno adottato approcci scientifici alla valutazione e alla misurazione sono riconducibili in prevalenza a fattori storici e culturali. Come Grunig e Hunt (1984) ci insegnano, il primo modello professionale è quello press-agentry/publicity orientato alla fonte del messaggio, piuttosto che ai riceventi, e legato al presupposto che il processo di comunicazione sia pressoché interamente controllabile dall’emittente. Le origini della professione spiegano dunque il motivo per il quale, fino alla fine degli anni ’70, i professionisti di relazioni pubbliche impiegarono gli stessi metodi utilizzati dalla ricerca pubblicitaria focalizzata sulla fonte e sulle caratteristiche del messaggio trasmesso (Stacks, Michaelson, 2010). Le origini storiche delle relazioni pubbliche e il fatto che siano nate come pratica professionale prima che come disciplina scientifica fondata su teorie e modelli concettuali originali hanno causato per lungo tempo anche la mancanza nei professionisti di una base di conoscenza consolidata nel campo della metodologia della ricerca sociale e della misurazione di performance. Gap culturale che ha portato i professionisti di comunicazione a preferire per molto tempo misure di immediata applicabilità, a privilegiare l’intuito e l’esperienza per valutare le attività svolte, piuttosto che ad adattare e applicare modelli e metodi di ricerca tradizionali esistenti. “Ogni volta che i comunicatori approcciano questo tema sembra emergere in loro un desiderio pervasivo di reinventare la ruota anziché di studiare, adattare e applicare i metodi di ricerca già consolidati” (Cline, 1984: 68). L’intenso lavoro che è stato svolto negli ultimi anni da accademici e professionisti pare essere la dimostrazione che l’affermazione di Kaplan e Norton (2002) “ciò che non può essere misurato, non può essere gestito” è stata presa alla lettera. I professionisti paiono essersi resi conto dell’importanza di una valutazione sistematica e metodologicamente corretta, il che spiega le sempre più intense collaborazioni tra mondo della pratica professionale e accademia. Per esempio, l’Institute for Public Relations, una fondazione dell’Università della Florida, ha istituito una commissione “Evaluation and Measurement”, che produce working paper e premia i progetti di misurazione migliori (PR Golden Ruler). Esiste una newsletter specializzata, “The Measurement Standard”, che dedica attenzione soprattutto al tema della misurazione dei social media e ogni anno organizza un convegno per fare discutere di questi temi assieme accademici e professionisti. Anche l’Association of Measurement and Evaluation of Communication (AMEC) sviluppa occasioni di dibattito e confronto tra i professionisti e ha proposto alcuni standard di misurazione condivisi. Il capitolo parte dalla spiegazione dei concetti fondamentali e propone alcuni spunti metodologici che fanno parte del vocabolario di base del mondo della valutazione di processo (e prodotto) e della misurazione di performance, ovvero le due scuole di riferimento dei professionisti di comunicazione. Viene infine proposto di adottare l’approccio del Performance Management, che da un lato suggerisce una visione di insieme dei processi di valutazione e misurazione, dall’altro lato mette al centro le aspettative degli utilizzatori dei risultati. Infine vengono brevemente descritte le competenze richieste al professionista di relazioni pubbliche per affrontare in modo adeguato le sfide che i temi trattati in questo capitolo pongono. Casi applicativi ed esempi di metodi sono stati inseriti nel testo per facilitare la comprensione dei concetti descritti.
La valutazione e la misurazione dei risultati, 2012-07.
La valutazione e la misurazione dei risultati
Romenti, Stefania
2012-07-01
Abstract
Il percorso di messa a punto e di consolidamento dei modelli di valutazione e di misurazione dei risultati nella pratica professionale delle relazioni pubbliche è partito alla fine degli anni ’70 del secolo scorso e può essere definito sui generis rispetto a quello seguito da altre aree organizzative, come il marketing e la gestione delle risorse umane. È infatti un percorso in cui emerge con evidenza la lentezza con la quale i modelli proposti dagli studiosi di comunicazione hanno assimilato i principi e il linguaggio del management. È parimenti un percorso colmo di sperimentazioni azzardate e di approcci ingenui, a volte privi di solidità scientifica, che si propongono con fini di natura persuasivo–simbolica (Cutlip, Center, Broom, 2000) per giustificare investimenti in comunicazione già realizzati e decisioni già prese. È il caso di alcune formule diffuse nella pratica professionale che prevedono un calcolo rapido, ma talvolta fuorviante, del ritorno economico sull’investimento (ROI) delle attività di comunicazione. I motivi del ritardo con il quale i professionisti di relazioni pubbliche hanno adottato approcci scientifici alla valutazione e alla misurazione sono riconducibili in prevalenza a fattori storici e culturali. Come Grunig e Hunt (1984) ci insegnano, il primo modello professionale è quello press-agentry/publicity orientato alla fonte del messaggio, piuttosto che ai riceventi, e legato al presupposto che il processo di comunicazione sia pressoché interamente controllabile dall’emittente. Le origini della professione spiegano dunque il motivo per il quale, fino alla fine degli anni ’70, i professionisti di relazioni pubbliche impiegarono gli stessi metodi utilizzati dalla ricerca pubblicitaria focalizzata sulla fonte e sulle caratteristiche del messaggio trasmesso (Stacks, Michaelson, 2010). Le origini storiche delle relazioni pubbliche e il fatto che siano nate come pratica professionale prima che come disciplina scientifica fondata su teorie e modelli concettuali originali hanno causato per lungo tempo anche la mancanza nei professionisti di una base di conoscenza consolidata nel campo della metodologia della ricerca sociale e della misurazione di performance. Gap culturale che ha portato i professionisti di comunicazione a preferire per molto tempo misure di immediata applicabilità, a privilegiare l’intuito e l’esperienza per valutare le attività svolte, piuttosto che ad adattare e applicare modelli e metodi di ricerca tradizionali esistenti. “Ogni volta che i comunicatori approcciano questo tema sembra emergere in loro un desiderio pervasivo di reinventare la ruota anziché di studiare, adattare e applicare i metodi di ricerca già consolidati” (Cline, 1984: 68). L’intenso lavoro che è stato svolto negli ultimi anni da accademici e professionisti pare essere la dimostrazione che l’affermazione di Kaplan e Norton (2002) “ciò che non può essere misurato, non può essere gestito” è stata presa alla lettera. I professionisti paiono essersi resi conto dell’importanza di una valutazione sistematica e metodologicamente corretta, il che spiega le sempre più intense collaborazioni tra mondo della pratica professionale e accademia. Per esempio, l’Institute for Public Relations, una fondazione dell’Università della Florida, ha istituito una commissione “Evaluation and Measurement”, che produce working paper e premia i progetti di misurazione migliori (PR Golden Ruler). Esiste una newsletter specializzata, “The Measurement Standard”, che dedica attenzione soprattutto al tema della misurazione dei social media e ogni anno organizza un convegno per fare discutere di questi temi assieme accademici e professionisti. Anche l’Association of Measurement and Evaluation of Communication (AMEC) sviluppa occasioni di dibattito e confronto tra i professionisti e ha proposto alcuni standard di misurazione condivisi. Il capitolo parte dalla spiegazione dei concetti fondamentali e propone alcuni spunti metodologici che fanno parte del vocabolario di base del mondo della valutazione di processo (e prodotto) e della misurazione di performance, ovvero le due scuole di riferimento dei professionisti di comunicazione. Viene infine proposto di adottare l’approccio del Performance Management, che da un lato suggerisce una visione di insieme dei processi di valutazione e misurazione, dall’altro lato mette al centro le aspettative degli utilizzatori dei risultati. Infine vengono brevemente descritte le competenze richieste al professionista di relazioni pubbliche per affrontare in modo adeguato le sfide che i temi trattati in questo capitolo pongono. Casi applicativi ed esempi di metodi sono stati inseriti nel testo per facilitare la comprensione dei concetti descritti.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.