Muovendo dalla disamina degli artist writings di Jeff Wall – in particolare Gestus , e ripercorrendo le diverse fasi della sua produzione attraverso le tecniche e lo sguardo adottati nelle opere più significative (ad es. Mimic, 1982; Milk, 1984; Man with a Rifle, 2000), si intende approfondire la natura e il ruolo dei “microgesti” nella ricerca del fotografo canadese anche alla luce della definizione data da Giorgio Agamben di gesto come pura “esibizione di una medialità”: “mezzo senza un fine” che per il fatto solo di essere fotografato, sospeso dal raggiungere il suo scopo, incarnerebbe l’idea di milieu pur di finzione per lo spettatore (Mallarmé). Ma i gesti automatici, mutili, interrotti del corpo nella modernità – simili a quelli di un mimo messi inscena e fotografati, o magari assemblati digitalmente in una sola immagine da Wall amplificherebbero il proprio carattere di emblemi (mezzi di comunicazione di un’incomunicabilità, frammenti di una complessità umana che ha perso il suo significato) in grado di far apparire “l’essere-in-un-medio dell’uomo”, per dirla ancora con Agamben. Mostrano il loro essere in potenza. Concentrano nel dettaglio congelato di un frame l’attivazione di una narrazione di tipo filmico. Consentono di rileggere la staged photography di Wall come la registrazione di una sequenza di movimenti involontari, scatti di un corpo disumanizzato, robotico, cinematografico. Rivelano una staged recording che reinventa il medium fotografico.
Gesto come esibizione di medialità. Jeff Wall tra staged photography e staged recording, 2022.
Gesto come esibizione di medialità. Jeff Wall tra staged photography e staged recording
de simone
2022-01-01
Abstract
Muovendo dalla disamina degli artist writings di Jeff Wall – in particolare Gestus , e ripercorrendo le diverse fasi della sua produzione attraverso le tecniche e lo sguardo adottati nelle opere più significative (ad es. Mimic, 1982; Milk, 1984; Man with a Rifle, 2000), si intende approfondire la natura e il ruolo dei “microgesti” nella ricerca del fotografo canadese anche alla luce della definizione data da Giorgio Agamben di gesto come pura “esibizione di una medialità”: “mezzo senza un fine” che per il fatto solo di essere fotografato, sospeso dal raggiungere il suo scopo, incarnerebbe l’idea di milieu pur di finzione per lo spettatore (Mallarmé). Ma i gesti automatici, mutili, interrotti del corpo nella modernità – simili a quelli di un mimo messi inscena e fotografati, o magari assemblati digitalmente in una sola immagine da Wall amplificherebbero il proprio carattere di emblemi (mezzi di comunicazione di un’incomunicabilità, frammenti di una complessità umana che ha perso il suo significato) in grado di far apparire “l’essere-in-un-medio dell’uomo”, per dirla ancora con Agamben. Mostrano il loro essere in potenza. Concentrano nel dettaglio congelato di un frame l’attivazione di una narrazione di tipo filmico. Consentono di rileggere la staged photography di Wall come la registrazione di una sequenza di movimenti involontari, scatti di un corpo disumanizzato, robotico, cinematografico. Rivelano una staged recording che reinventa il medium fotografico.File | Dimensione | Formato | |
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