Il saggio analizza Un’ora sola ti vorrei (2002) film di montaggio di Alina Marazzi, realizzato a partire dai film di famiglia del nonno materno, Ulrico Hoepli, girati dal 1926 al 1972. Singolare tentativo di ricostruzione della memoria della madre scomparsa utilizzando esclusivamente tracce testimoniali (i film di famiglia, le lettere e i diari della madre, alcuni documenti clinici), il film è molto più che un’operazione di found-footage, e si colloca a metà strada tra il documentario lirico e il diario filmato. La ri-scrittura della storia di Liseli Hoepli procede intrecciando i discorsi (familiari, sociali, medici, amorosi) e le rappresentazioni (i film di famiglia, la scrittura diaristica, la “normalità” medico-sociale) fino a consegnarci il ritratto molteplice di una donna che non riesce ad adattarsi all’identità di ruolo cui vorrebbero costringerla. I film di famiglia, allora, con le loro immagini di felicità, non ci restituiscono tanto la memoria sensibile di un’esperienza, quanto la scena di una recita sociale inviolabile. Come un blocco di memoria immutabile, gli home movie strutturano il ricordo, definiscono il profilo con cui si dovrà rivedere il passato, di fatto ricreano le circostanze di cui dovrebbero essere l’impronta. Il saggio è parte di un numero monografico di “Comunicazioni sociali” dedicato al cinema amatoriale in Italia, curato dalla stessa autrice con Elena Mosconi, che è stato il primo tentativo di ricostruzione storico-teorica della produzione amatoriale nel nostro paese.
La ri-scrittura della storia: "Un'ora sola ti vorrei" di Alina Marazzi e la memoria delle immagini, 2005.
La ri-scrittura della storia: "Un'ora sola ti vorrei" di Alina Marazzi e la memoria delle immagini
Farinotti, Luisella
2005-01-01
Abstract
Il saggio analizza Un’ora sola ti vorrei (2002) film di montaggio di Alina Marazzi, realizzato a partire dai film di famiglia del nonno materno, Ulrico Hoepli, girati dal 1926 al 1972. Singolare tentativo di ricostruzione della memoria della madre scomparsa utilizzando esclusivamente tracce testimoniali (i film di famiglia, le lettere e i diari della madre, alcuni documenti clinici), il film è molto più che un’operazione di found-footage, e si colloca a metà strada tra il documentario lirico e il diario filmato. La ri-scrittura della storia di Liseli Hoepli procede intrecciando i discorsi (familiari, sociali, medici, amorosi) e le rappresentazioni (i film di famiglia, la scrittura diaristica, la “normalità” medico-sociale) fino a consegnarci il ritratto molteplice di una donna che non riesce ad adattarsi all’identità di ruolo cui vorrebbero costringerla. I film di famiglia, allora, con le loro immagini di felicità, non ci restituiscono tanto la memoria sensibile di un’esperienza, quanto la scena di una recita sociale inviolabile. Come un blocco di memoria immutabile, gli home movie strutturano il ricordo, definiscono il profilo con cui si dovrà rivedere il passato, di fatto ricreano le circostanze di cui dovrebbero essere l’impronta. Il saggio è parte di un numero monografico di “Comunicazioni sociali” dedicato al cinema amatoriale in Italia, curato dalla stessa autrice con Elena Mosconi, che è stato il primo tentativo di ricostruzione storico-teorica della produzione amatoriale nel nostro paese.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.