Partecipazione, condivisione/sharing, user generated content, prosumerismo sono keywords, parole chiave che fotografano l’effettiva emancipazione (agevolata dalla facilità, dall’intuitività dei devices) del soggetto rispetto ai centri di produzione del sapere e dell’informazione, nonché il suo empowerment nei confronti del mondo delle imprese costrette a una comunicazione orizzontale (e non più verticale). Si tratta di una vera e propria mutazione antropologica dell’individuo grazie alla personalizzazione nell’impiego dei media e alla disintermediazione digitale. Siamo nell’era “biomediatica” caratterizzata dalla condivisione telematica delle biografie personali tramite i social network; e della frammentazione dell’immaginario collettivo (inteso come quell’insieme di valori, simboli e miti in grado di orientare le scelte e di influenzare le aspirazioni individuali), favorito dai media digitali, che, rispetto all’immaginario “compatto e omogeno”, sostenuto dai grandi mezzi di comunicazione di massa del passato, oppone le tante micronarrazioni individuali (in cui il consumo collabora alla costruzione di identità sempre più fluide) che portano all’affermazione di nuovi ed effimeri modelli ispirazionali quali, ad esempio, gli influencer. Nello specifico, gli oggetti centrali nella ridefinizione dell’immaginario degli italiani si dispongono lungo una scala che vede al vertice il posto fisso, 38,5%, quindi i social network, 28,3%, la casa di proprietà, 26,2% e lo smartphone, 25,7% e la cura per il corpo, 22,7% (Censis, 2017). Tre italiani su quattro, il 73,8% della popolazione, possiede uno smartphone (diffuso anche tra gli over 65 che ne fa un uso costante per una percentuale pari al 29,5%), ovvero un dispositivo che permette loro di accedere a qualunque contenuto digitale, ovunque si trovino, con una elevata resa qualitativa e a costi contenuti. Le trasformazioni che interessano il sistema dei media si identificano in un’ibridazione dei mezzi che ha come esito la transmedialità raggiunta attraverso l’integrazione di dispositivi tecnologici, reti di trasmissione, piattaforme di produzione e di distribuzione. In particolare, la televisione, tuttora al primo posto nella dieta mediatica degli italiani, con l’89,9% di italiani che la seguono nella sua versione “tradizionale”, ossia digitale, è un esempio interessante di transmedialità: l’utente può infatti accedere ai suoi programmi da una molteplicità di piattaforme ovunque e in qualsiasi momento. La tv generalista diventa un “hub mediatico: un nodo di interscam¬bio in cui si affacciano le diverse proposte degli operatori del settore, grazie alla facilità con cui entra in tutte le case e alla rapidità con cui ha assorbito molte delle nuove forme di comunicazione introdotte dagli altri mezzi” . Oltre al digitale terrestre vi sono altre tipologie di offerta che coprono specifiche esigenze non soddisfatte dalla tv generalista o dai canali tematici, gratuiti e a pagamento, veicolati dal digitale terrestre. Enormi progressi sono stati compiuti nell’ultimo decennio tanto che il digital devide è sceso dal 51,3% nel 2009 al 26,5 % nel 2018. Tuttavia, in realtà solo il 35,3% della popolazione (nel 2009 era il 35,8%) oggi ha una dieta mediatica equilibrata tale cioè da comprendere media audiovisivi, a stampa e digitali e quindi tale da favorire lo sviluppo delle conoscenze e delle competenze di chi ne fa uso. Oggi la pubblicità ha a sua disposizione una molteplicità di media ciascuno con caratteristiche e pubblici specifici, come abbiamo visto sopra, il che richiede una pianificazione media ancora più attenta che in passato e la consapevolezza che l’attuale transmedialità impone contenuti da declinare sui vari mezzi (il cosiddetto content journey) in maniera efficace per raggiungere un consumatore multimedia e multitasking. In particolare, se consideriamo gli ultimi due anni, ossia appunto il 2017 e il 2018, notiamo come la televisione registri un debole incremento rispetto agli anni precedenti. Si passa infatti, secondo i dati Nielsen per il 2018, da un investimento di 3,776,316 euro nel 2017 a 3,799,382 nel 2018 con una crescita, sull’anno precedente, pari allo 0,6%. Immediatamente seguita dall’intero universo dell’Internet advertising che, nel 2018, cresce dell’8% rispetto al 2017. La Tv quindi, nonostante sia in cima agli investimenti, con una quota pari al 45,2%, si è vista erodere parte del suo primato dal web, come risulta dalla figura 1 che esemplifica visivamente, in maniera chiara, come tre quarti degli investimenti si concentrino su tv e digital.

Come cambia la comunicazione, 2019.

Come cambia la comunicazione

Polesana, Maria Angela
2019-01-01

Abstract

Partecipazione, condivisione/sharing, user generated content, prosumerismo sono keywords, parole chiave che fotografano l’effettiva emancipazione (agevolata dalla facilità, dall’intuitività dei devices) del soggetto rispetto ai centri di produzione del sapere e dell’informazione, nonché il suo empowerment nei confronti del mondo delle imprese costrette a una comunicazione orizzontale (e non più verticale). Si tratta di una vera e propria mutazione antropologica dell’individuo grazie alla personalizzazione nell’impiego dei media e alla disintermediazione digitale. Siamo nell’era “biomediatica” caratterizzata dalla condivisione telematica delle biografie personali tramite i social network; e della frammentazione dell’immaginario collettivo (inteso come quell’insieme di valori, simboli e miti in grado di orientare le scelte e di influenzare le aspirazioni individuali), favorito dai media digitali, che, rispetto all’immaginario “compatto e omogeno”, sostenuto dai grandi mezzi di comunicazione di massa del passato, oppone le tante micronarrazioni individuali (in cui il consumo collabora alla costruzione di identità sempre più fluide) che portano all’affermazione di nuovi ed effimeri modelli ispirazionali quali, ad esempio, gli influencer. Nello specifico, gli oggetti centrali nella ridefinizione dell’immaginario degli italiani si dispongono lungo una scala che vede al vertice il posto fisso, 38,5%, quindi i social network, 28,3%, la casa di proprietà, 26,2% e lo smartphone, 25,7% e la cura per il corpo, 22,7% (Censis, 2017). Tre italiani su quattro, il 73,8% della popolazione, possiede uno smartphone (diffuso anche tra gli over 65 che ne fa un uso costante per una percentuale pari al 29,5%), ovvero un dispositivo che permette loro di accedere a qualunque contenuto digitale, ovunque si trovino, con una elevata resa qualitativa e a costi contenuti. Le trasformazioni che interessano il sistema dei media si identificano in un’ibridazione dei mezzi che ha come esito la transmedialità raggiunta attraverso l’integrazione di dispositivi tecnologici, reti di trasmissione, piattaforme di produzione e di distribuzione. In particolare, la televisione, tuttora al primo posto nella dieta mediatica degli italiani, con l’89,9% di italiani che la seguono nella sua versione “tradizionale”, ossia digitale, è un esempio interessante di transmedialità: l’utente può infatti accedere ai suoi programmi da una molteplicità di piattaforme ovunque e in qualsiasi momento. La tv generalista diventa un “hub mediatico: un nodo di interscam¬bio in cui si affacciano le diverse proposte degli operatori del settore, grazie alla facilità con cui entra in tutte le case e alla rapidità con cui ha assorbito molte delle nuove forme di comunicazione introdotte dagli altri mezzi” . Oltre al digitale terrestre vi sono altre tipologie di offerta che coprono specifiche esigenze non soddisfatte dalla tv generalista o dai canali tematici, gratuiti e a pagamento, veicolati dal digitale terrestre. Enormi progressi sono stati compiuti nell’ultimo decennio tanto che il digital devide è sceso dal 51,3% nel 2009 al 26,5 % nel 2018. Tuttavia, in realtà solo il 35,3% della popolazione (nel 2009 era il 35,8%) oggi ha una dieta mediatica equilibrata tale cioè da comprendere media audiovisivi, a stampa e digitali e quindi tale da favorire lo sviluppo delle conoscenze e delle competenze di chi ne fa uso. Oggi la pubblicità ha a sua disposizione una molteplicità di media ciascuno con caratteristiche e pubblici specifici, come abbiamo visto sopra, il che richiede una pianificazione media ancora più attenta che in passato e la consapevolezza che l’attuale transmedialità impone contenuti da declinare sui vari mezzi (il cosiddetto content journey) in maniera efficace per raggiungere un consumatore multimedia e multitasking. In particolare, se consideriamo gli ultimi due anni, ossia appunto il 2017 e il 2018, notiamo come la televisione registri un debole incremento rispetto agli anni precedenti. Si passa infatti, secondo i dati Nielsen per il 2018, da un investimento di 3,776,316 euro nel 2017 a 3,799,382 nel 2018 con una crescita, sull’anno precedente, pari allo 0,6%. Immediatamente seguita dall’intero universo dell’Internet advertising che, nel 2018, cresce dell’8% rispetto al 2017. La Tv quindi, nonostante sia in cima agli investimenti, con una quota pari al 45,2%, si è vista erodere parte del suo primato dal web, come risulta dalla figura 1 che esemplifica visivamente, in maniera chiara, come tre quarti degli investimenti si concentrino su tv e digital.
Italiano
2019
2019
Codeluppi , Vanni; Polesana, Maria Angela
Rapporto IULM 2019 sulla Comunicazione d'Impresa
44
60
17
9788891781529
Italy
Milano
FrancoAngeli
nazionale
A stampa
Settore SPS/08 - Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi
1
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