Sentirsi implicati, temere per il proprio destino, imparare a giocare, godersi un giardino, rimuginare i propri sogni, essere sensibili alla vulnerabilità altrui, provare il fascino delle macchine, essere avvinti dal vuoto, tentare di metter fine al male, perdersi in inutili pettegolezzi, votarsi a qualcosa di sacro: non è che una fugace panoramica gettata sulla miriade di modi in cui gestiamo il senso, lungo il nostro vivere, di là da ciò che riusciamo a contenere, a configurare, ad attestare definitivamente. Eppure siamo costretti a prendere l'iniziativa, talvolta ciechi al nostro passo; siamo invitati a deciderci, a trovare una consistenza identitaria, persi tra il nugolo di ruoli che recitiamo; siamo tenuti ad avere fiducia o a nutrire un credo nel reciproco appello che ci lega all'alterità. Piovono da sempre molti pensieri su questi temi, e la semiotica non è un temporale oramai fuori stagione. Essa può tentare oggi di descrivere modi d'accesso ai valori e strategie della loro sostenibilità nel tempo. Essa può accompagnarci nei pressi della nostra piccola grandezza interna sullo sfondo dell'ingranaggio della vita. Essa può dipanarci un'ecologia della comunicazione. Ciò che elaboriamo nei nostri discorsi si candida, infatti, a divenire terreno rinnovato d'esperienza. Diamo così una casa ai nostri vissuti di significazione, passano attraverso i nostri giochi, ma essi fronteggiano, pur sempre, il mare aperto dell'indeterminazione. Anche la teoria è una pratica; ad essa, così discreta, il compito di palpitare a fianco, di resistere di fronte ai terreni più malcerti, di sapersi mostrare viva mappando anche il nostro senso stento.
Vissuti di significazione: temi per una semiotica viva, 2008.
Vissuti di significazione: temi per una semiotica viva
Basso, Pierluigi
2008-01-01
Abstract
Sentirsi implicati, temere per il proprio destino, imparare a giocare, godersi un giardino, rimuginare i propri sogni, essere sensibili alla vulnerabilità altrui, provare il fascino delle macchine, essere avvinti dal vuoto, tentare di metter fine al male, perdersi in inutili pettegolezzi, votarsi a qualcosa di sacro: non è che una fugace panoramica gettata sulla miriade di modi in cui gestiamo il senso, lungo il nostro vivere, di là da ciò che riusciamo a contenere, a configurare, ad attestare definitivamente. Eppure siamo costretti a prendere l'iniziativa, talvolta ciechi al nostro passo; siamo invitati a deciderci, a trovare una consistenza identitaria, persi tra il nugolo di ruoli che recitiamo; siamo tenuti ad avere fiducia o a nutrire un credo nel reciproco appello che ci lega all'alterità. Piovono da sempre molti pensieri su questi temi, e la semiotica non è un temporale oramai fuori stagione. Essa può tentare oggi di descrivere modi d'accesso ai valori e strategie della loro sostenibilità nel tempo. Essa può accompagnarci nei pressi della nostra piccola grandezza interna sullo sfondo dell'ingranaggio della vita. Essa può dipanarci un'ecologia della comunicazione. Ciò che elaboriamo nei nostri discorsi si candida, infatti, a divenire terreno rinnovato d'esperienza. Diamo così una casa ai nostri vissuti di significazione, passano attraverso i nostri giochi, ma essi fronteggiano, pur sempre, il mare aperto dell'indeterminazione. Anche la teoria è una pratica; ad essa, così discreta, il compito di palpitare a fianco, di resistere di fronte ai terreni più malcerti, di sapersi mostrare viva mappando anche il nostro senso stento.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.