Questo saggio si apre nel 1955 e segue le trasformazioni del pacifismo cattolico e il in particolare il dialogo tra don Primo Mazzolari e Giorgio La Pira nella seconda metà degli anni Cinquanta. Una stagione che rappresentò, per una serie di ragioni diverse, uno spartiacque nella politica internazionale e nella ridefinizione degli equilibri geostrategici della guerra fredda. Una fase che fu accompagnata dall’apparire dei primi contraddittori sintomi della «distensione» che si confondevano con l’impatto del fallimento della Ced, della nascita dell’Ueo, dell’ingresso della Germania nella Nato, del dibattito sul sistema della Dual Key (nella gestione delle testate atomiche dislocate nelle basi europee) e della costituzione dei patti di Varsavia e di Baghdad. Una stagione che passò però anche per la novità di Bandung, con i «cinque principi» per la coesistenza pacifica lì stipulati (tra cui quello, a lungo dimenticato, delle ex colonie come «nuova area di pace»). Vi è dunque, tra gli altri, un elemento particolare che affiorò alla luce in termini nuovi in quella stagione, quasi in concomitanza con la pubblicazione del volume di Mazzolari Tu non uccide. Questo riguarda la marcata «sovrapposizione» che si cominciò a percepire, anche a livello d’immaginario collettivo, tra i temi classici della guerra fredda consolidatisi negli anni precedenti – la deterrenza, la paura antiatomica, lo scontro di blocchi e la pervasività di queste logiche sulle politiche nazionali – e le novità della stagione della decolonizzazione. Una sovrapposizione che avrebbe avuto conseguenze di lungo periodo sulle scelte della diplomazia e delle cancellerie, contribuendo ad avviare un graduale, per quanto sofferto, processo di articolazione dei blocchi . Un passaggio complesso e poliedrico che nel medio periodo avrebbe agito in profondità anche sulla società italiana, spingendo inevitabilmente lo stesso mondo pacifista (più o meno organizzato) a delineare nuove strategie d’azione e a tentare inediti processi d’integrazione. Di lì in poi infatti anche i movimenti per la pace avrebbero iniziato a smarcarsi dalle rigidità e dagli obblighi di una logica rigidamente bipolare, consolidando le prime reti «indipendenti». Soprattutto si iniziò già da allora a sviluppare una crescente, e in un certo senso «rifondativa», attenzione intorno alla possibile connessione tra mobilitazione antiatomica e lotta contro il sottosviluppo. Un processo silenzioso, e ad oggi assai poco studiato, che a suo modo si intrecciò con quel fenomeno che, grazie all’inventiva di Sauvy, sarebbe stato conosciuto nel mondo come «terzomondismo» . Proprio a partire dalla costruzione di questo nesso - pace/sviluppo - il pacifismo cercava dunque di ridefinire i propri caratteri, avviando un processo di rielaborazione della propria complessità, dei nessi tra pacifisti «puri» e «di partito», tra élite e movimenti popolari. Una connessione che toccava anche il dialogo tra cattolici e socialisti, offrendo così, nella specificità del contesto italiano, un nuovo tema di dialogo al refrain politico sull’apertura a «sinistra» come evoluzione naturale della crisi del centrismo.
La pace dell'ultimo. Tu non uccidere e il pacifismo alla svolta degli anni Cinquanta, 2009.
La pace dell'ultimo. Tu non uccidere e il pacifismo alla svolta degli anni Cinquanta
De Giuseppe, Massimo
2009-01-01
Abstract
Questo saggio si apre nel 1955 e segue le trasformazioni del pacifismo cattolico e il in particolare il dialogo tra don Primo Mazzolari e Giorgio La Pira nella seconda metà degli anni Cinquanta. Una stagione che rappresentò, per una serie di ragioni diverse, uno spartiacque nella politica internazionale e nella ridefinizione degli equilibri geostrategici della guerra fredda. Una fase che fu accompagnata dall’apparire dei primi contraddittori sintomi della «distensione» che si confondevano con l’impatto del fallimento della Ced, della nascita dell’Ueo, dell’ingresso della Germania nella Nato, del dibattito sul sistema della Dual Key (nella gestione delle testate atomiche dislocate nelle basi europee) e della costituzione dei patti di Varsavia e di Baghdad. Una stagione che passò però anche per la novità di Bandung, con i «cinque principi» per la coesistenza pacifica lì stipulati (tra cui quello, a lungo dimenticato, delle ex colonie come «nuova area di pace»). Vi è dunque, tra gli altri, un elemento particolare che affiorò alla luce in termini nuovi in quella stagione, quasi in concomitanza con la pubblicazione del volume di Mazzolari Tu non uccide. Questo riguarda la marcata «sovrapposizione» che si cominciò a percepire, anche a livello d’immaginario collettivo, tra i temi classici della guerra fredda consolidatisi negli anni precedenti – la deterrenza, la paura antiatomica, lo scontro di blocchi e la pervasività di queste logiche sulle politiche nazionali – e le novità della stagione della decolonizzazione. Una sovrapposizione che avrebbe avuto conseguenze di lungo periodo sulle scelte della diplomazia e delle cancellerie, contribuendo ad avviare un graduale, per quanto sofferto, processo di articolazione dei blocchi . Un passaggio complesso e poliedrico che nel medio periodo avrebbe agito in profondità anche sulla società italiana, spingendo inevitabilmente lo stesso mondo pacifista (più o meno organizzato) a delineare nuove strategie d’azione e a tentare inediti processi d’integrazione. Di lì in poi infatti anche i movimenti per la pace avrebbero iniziato a smarcarsi dalle rigidità e dagli obblighi di una logica rigidamente bipolare, consolidando le prime reti «indipendenti». Soprattutto si iniziò già da allora a sviluppare una crescente, e in un certo senso «rifondativa», attenzione intorno alla possibile connessione tra mobilitazione antiatomica e lotta contro il sottosviluppo. Un processo silenzioso, e ad oggi assai poco studiato, che a suo modo si intrecciò con quel fenomeno che, grazie all’inventiva di Sauvy, sarebbe stato conosciuto nel mondo come «terzomondismo» . Proprio a partire dalla costruzione di questo nesso - pace/sviluppo - il pacifismo cercava dunque di ridefinire i propri caratteri, avviando un processo di rielaborazione della propria complessità, dei nessi tra pacifisti «puri» e «di partito», tra élite e movimenti popolari. Una connessione che toccava anche il dialogo tra cattolici e socialisti, offrendo così, nella specificità del contesto italiano, un nuovo tema di dialogo al refrain politico sull’apertura a «sinistra» come evoluzione naturale della crisi del centrismo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.