Il fenomeno zapatista è stato analizzato e studiato come un processo cruciale nei complessi equilibri della rivoluzione messicana, storicamente relazionato a temi quali la questione agraria, la ridefinizione sociale del contadino, il caudillismo politico, la lotta armata e il proto-indigenismo. Per la sua particolare autonomia rispetto al maderismo, al huertismo, al carrancismo e al villismo, il movimento guidato dal líder sureño ha infatti rapidamente travalicato i confini regionali del Morelos fino a rappresentare un elemento, ora di disturbo ora strumentale, comunque funzionale ad alcune dinamiche interne al discorso di legittimazione del processo rivoluzionario, alla sua costruzione politica, alla sua rappresentazione simbolica, finanche alla sua rilettura storiografica. Quello che si cercherà di analizzare in questo saggio (in buona parte ripreso da un capitolo del volume Messico 1900-1930. Stato, Chiesa, Popoli indigeni, Brescia 2007) riguarderà la relazione che si sviluppò tra il fenomeno zapatista ed il mondo cattolico. E’ risaputo infatti che, nonostante la presenza di importanti elementi protestanti, anarchici, socialisti, perfino massoni, una profonda matrice di cattolicesimo popolare segnò la quotidianità dei gruppi di contadini in armi, alcuni dei quali avrebbero perfino aderito, successivamente, al levantamiento cristero. Cercando però di andare oltre le suggestioni delle bandiere guadalupane e dei rosari che accompagnavano i ribelli, si cercherà qui di comprendere come le istituzioni ecclesiastiche si posero di fronte al levantamiento sureño ma soprattutto di rileggere l’atteggiamento di quei «nuovi laici» che il processo di «messicanizzazione» della Rerum Novarum aveva aperto alle istanze sociali della questione agraria. Ricostruendo le posizioni, le paure e i progetti dei cattolici organizzati riemerge infatti un’articolata lettura dello zapatismo, etichettato ora come puro bandolerismo, ora come prodotto di atavici ritardi sociali, ora come effetto di un inevitabile ritorno a un «aztechismo» barbaro. Nella stagione maderista, la reintroduzione turbolenta della categoria dell’«indio enemigo», e la legittimazione del suo sterminio, ebbe effetti dirompenti ma si intrecciò anche con una serie di progetti proto-indigenisti che toccarono in profondità il mondo cattolico, aprendo le porte a quell’ambizioso piano di costruzione di una «classe media india», come garanzia di pacificazione e modernizzazione nazionale, che avrebbe animato il futuro leader della Liga Agraria Católica (nonché interlocutore mancato di Zapata), Antenor Sala. Incrociare le fonti d’archivio con la stampa del tempo e con le proposte del libello di Pascual Lamicq, Piedad para el indio, ci permette quindi di riflettere in modo approfondito sulle contraddizioni della prima fase rivoluzionaria, collocando nel triennio 1911-1913 uno spartiacque decisivo per comprendere i termini della cosiddetta revolución escindida. Infine questo percorso ci permetterà di riflettere sulla complessità di due categorie, a loro modo profondamente storiografiche, come quella di indigeni e di cattolici, rimaste a lungo irrisolte nei processi di costruzione del Messico contemporaneo. (1910-1913)
"Piedad para el indio", el "Atila del Sur", y las "banderas de Guadalupe", 2011.
"Piedad para el indio", el "Atila del Sur", y las "banderas de Guadalupe"
De Giuseppe, Massimo
2011-01-01
Abstract
Il fenomeno zapatista è stato analizzato e studiato come un processo cruciale nei complessi equilibri della rivoluzione messicana, storicamente relazionato a temi quali la questione agraria, la ridefinizione sociale del contadino, il caudillismo politico, la lotta armata e il proto-indigenismo. Per la sua particolare autonomia rispetto al maderismo, al huertismo, al carrancismo e al villismo, il movimento guidato dal líder sureño ha infatti rapidamente travalicato i confini regionali del Morelos fino a rappresentare un elemento, ora di disturbo ora strumentale, comunque funzionale ad alcune dinamiche interne al discorso di legittimazione del processo rivoluzionario, alla sua costruzione politica, alla sua rappresentazione simbolica, finanche alla sua rilettura storiografica. Quello che si cercherà di analizzare in questo saggio (in buona parte ripreso da un capitolo del volume Messico 1900-1930. Stato, Chiesa, Popoli indigeni, Brescia 2007) riguarderà la relazione che si sviluppò tra il fenomeno zapatista ed il mondo cattolico. E’ risaputo infatti che, nonostante la presenza di importanti elementi protestanti, anarchici, socialisti, perfino massoni, una profonda matrice di cattolicesimo popolare segnò la quotidianità dei gruppi di contadini in armi, alcuni dei quali avrebbero perfino aderito, successivamente, al levantamiento cristero. Cercando però di andare oltre le suggestioni delle bandiere guadalupane e dei rosari che accompagnavano i ribelli, si cercherà qui di comprendere come le istituzioni ecclesiastiche si posero di fronte al levantamiento sureño ma soprattutto di rileggere l’atteggiamento di quei «nuovi laici» che il processo di «messicanizzazione» della Rerum Novarum aveva aperto alle istanze sociali della questione agraria. Ricostruendo le posizioni, le paure e i progetti dei cattolici organizzati riemerge infatti un’articolata lettura dello zapatismo, etichettato ora come puro bandolerismo, ora come prodotto di atavici ritardi sociali, ora come effetto di un inevitabile ritorno a un «aztechismo» barbaro. Nella stagione maderista, la reintroduzione turbolenta della categoria dell’«indio enemigo», e la legittimazione del suo sterminio, ebbe effetti dirompenti ma si intrecciò anche con una serie di progetti proto-indigenisti che toccarono in profondità il mondo cattolico, aprendo le porte a quell’ambizioso piano di costruzione di una «classe media india», come garanzia di pacificazione e modernizzazione nazionale, che avrebbe animato il futuro leader della Liga Agraria Católica (nonché interlocutore mancato di Zapata), Antenor Sala. Incrociare le fonti d’archivio con la stampa del tempo e con le proposte del libello di Pascual Lamicq, Piedad para el indio, ci permette quindi di riflettere in modo approfondito sulle contraddizioni della prima fase rivoluzionaria, collocando nel triennio 1911-1913 uno spartiacque decisivo per comprendere i termini della cosiddetta revolución escindida. Infine questo percorso ci permetterà di riflettere sulla complessità di due categorie, a loro modo profondamente storiografiche, come quella di indigeni e di cattolici, rimaste a lungo irrisolte nei processi di costruzione del Messico contemporaneo. (1910-1913)I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.