Luciano Bianciardi considerava "La battaglia soda" il suo libro "più bello", quello "migliore", per il quale soltanto avrebbe voluto restare nel catalogo della Biblioteca Nazionale Centrale. Lo riteneva un "grosso tentativo, anche linguistico", un "romanzo dell'Ottocento". Per quale motivo? La postfazione cerca di offrire una risposta, dove la "battaglia soda" appare come la via d'uscita dalla gabbia della "Vita agra" e la premessa indispensabile di "Aprire il fuoco", inizialmente intitolato "Le cinque giornate", anche per la mescolanza tra tempo presente e passato. E' libro di chi rifiuta la parte "dell'arrabbiato italiano" e che presenta un finale consolatorio, se non positivo: il maggiore B, sconfitto, si fa "uom di penna", con “la netta coscienza che può anche quella servire al bene della patria, quando sia adoprata ben aguzza e intinta nell’inchiostro della verità, […] [per] ben infiammare con lo scritto l’animo dei giovani alle battaglie future”. Usa la penna perché, come Bianciardi negli anni Sessanta, vuole “propagare la verità e l’amore d’Italia, scrivendo principalmente sui giornali”. A Bianciardi devono proprio essere piaciuti quei "I Mille. Da Genova a Capua" di Giuseppe Bandi, che il padre gli regalò quando era bambino e che non smise mai di rileggere, anche perché si pensava come uno degli ultimi garibaldini e perché, come scrive nel segnalibro del 1964, "A Custoza siamo stati sconfitti anche noi".
Il libro più bello (non è un aperitivo). "La battaglia soda" di Luciano Bianciardi, 2024.
Il libro più bello (non è un aperitivo). "La battaglia soda" di Luciano Bianciardi
Mazza, Emilio
2024-01-01
Abstract
Luciano Bianciardi considerava "La battaglia soda" il suo libro "più bello", quello "migliore", per il quale soltanto avrebbe voluto restare nel catalogo della Biblioteca Nazionale Centrale. Lo riteneva un "grosso tentativo, anche linguistico", un "romanzo dell'Ottocento". Per quale motivo? La postfazione cerca di offrire una risposta, dove la "battaglia soda" appare come la via d'uscita dalla gabbia della "Vita agra" e la premessa indispensabile di "Aprire il fuoco", inizialmente intitolato "Le cinque giornate", anche per la mescolanza tra tempo presente e passato. E' libro di chi rifiuta la parte "dell'arrabbiato italiano" e che presenta un finale consolatorio, se non positivo: il maggiore B, sconfitto, si fa "uom di penna", con “la netta coscienza che può anche quella servire al bene della patria, quando sia adoprata ben aguzza e intinta nell’inchiostro della verità, […] [per] ben infiammare con lo scritto l’animo dei giovani alle battaglie future”. Usa la penna perché, come Bianciardi negli anni Sessanta, vuole “propagare la verità e l’amore d’Italia, scrivendo principalmente sui giornali”. A Bianciardi devono proprio essere piaciuti quei "I Mille. Da Genova a Capua" di Giuseppe Bandi, che il padre gli regalò quando era bambino e che non smise mai di rileggere, anche perché si pensava come uno degli ultimi garibaldini e perché, come scrive nel segnalibro del 1964, "A Custoza siamo stati sconfitti anche noi".I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.