Quanto ha segnato finora la sfortunata ricezione critica dell’«Italiano» fu quel sottotitolo che con varianti minime portò con sé fino alla fine: «Settimanale della gente fascista». Quando nel 1926 uscì il primo numero dell’«Italiano», Leo Longanesi non era ancora maggiorenne, ma portò avanti ostinatamente questo suo progetto fino al 1942. A nessun’altra delle sue riviste avrebbe dedicato se stesso come alla sua prima avventura di direttore. Ma l’’«Italiano» riceverà minor attenzione da parte della critica posteriore rispetto a «Omnibus» e al «Borghese». Negli anni Trenta «L’Italiano» diede voce ai migliori scrittori della nuova generazione, quali Comisso, Moravia, Buzzati, Soldati, Tobino, Benedetti e Brancati. Evitando lo sperimentalismo e l’avanguardia, il foglio seppe nondimeno rivelarsi spregiudicato e moderno, fuggendo strenuamente quelle novità che sono i denti della letteratura e dell’arte: «servono solo per mangiare, ma ingialliscono e si perdono». Il risultato è una testata ricca di contraddizioni e di notevole fascino («L’Italiano si vende moltissimo, ed è seguito», scrive nel marzo 1931 all’amico Pellizzi), capace di accostare un testo di Mussolini a un racconto di Hemingway, poesie di Ungaretti ad aforismi dello stesso Longanesi, nonché in grado di far collaborare un antifascista pentito come Giovanni Ansaldo con il selvaggio Mino Maccari. Questo libro prova a dar conto dell’idea di letteratura proposta dall’«Italiano», studiando i contributi dei suoi principali collaboratori ed esaminando il loro effettivo apporto alla fisionomia del periodico. Si tenterà, insomma, di restituire al lettore un quadro quanto più sintetico ed esauriente dell’identità di una rivista che, nelle storie letterarie , dovrebbe occupare almeno lo stesso spazio riservato a «Solaria».
I denti dell'arte. La letteratura entre-deux-guerres nell'«Italiano» di Leo Longanesi, 2020.
I denti dell'arte. La letteratura entre-deux-guerres nell'«Italiano» di Leo Longanesi
Boemia, Dario
2020-01-01
Abstract
Quanto ha segnato finora la sfortunata ricezione critica dell’«Italiano» fu quel sottotitolo che con varianti minime portò con sé fino alla fine: «Settimanale della gente fascista». Quando nel 1926 uscì il primo numero dell’«Italiano», Leo Longanesi non era ancora maggiorenne, ma portò avanti ostinatamente questo suo progetto fino al 1942. A nessun’altra delle sue riviste avrebbe dedicato se stesso come alla sua prima avventura di direttore. Ma l’’«Italiano» riceverà minor attenzione da parte della critica posteriore rispetto a «Omnibus» e al «Borghese». Negli anni Trenta «L’Italiano» diede voce ai migliori scrittori della nuova generazione, quali Comisso, Moravia, Buzzati, Soldati, Tobino, Benedetti e Brancati. Evitando lo sperimentalismo e l’avanguardia, il foglio seppe nondimeno rivelarsi spregiudicato e moderno, fuggendo strenuamente quelle novità che sono i denti della letteratura e dell’arte: «servono solo per mangiare, ma ingialliscono e si perdono». Il risultato è una testata ricca di contraddizioni e di notevole fascino («L’Italiano si vende moltissimo, ed è seguito», scrive nel marzo 1931 all’amico Pellizzi), capace di accostare un testo di Mussolini a un racconto di Hemingway, poesie di Ungaretti ad aforismi dello stesso Longanesi, nonché in grado di far collaborare un antifascista pentito come Giovanni Ansaldo con il selvaggio Mino Maccari. Questo libro prova a dar conto dell’idea di letteratura proposta dall’«Italiano», studiando i contributi dei suoi principali collaboratori ed esaminando il loro effettivo apporto alla fisionomia del periodico. Si tenterà, insomma, di restituire al lettore un quadro quanto più sintetico ed esauriente dell’identità di una rivista che, nelle storie letterarie , dovrebbe occupare almeno lo stesso spazio riservato a «Solaria».File | Dimensione | Formato | |
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