I tempi d’attesa sono un punto critico dei moderni sistemi sanitari (1). In tutti i principali Paesi dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) sono state sviluppate politiche più o meno efficaci per ridurli (2) perché, oltre a produrre insoddisfazione, un’attesa eccessiva rispetto al momento dell’espressione della domanda può comportare un deterioramento della salute delle persone (3) o una minor efficacia delle cure (4). D’altra parte, i tempi di attesa sono ineliminabili perché agiscono come strumento di razionamento della domanda nei sistemi a prevalente finanziamento pubblico, come quello italiano, dove l’assenza o l’uso limitato di prezzi per l’utilizzo dei servizi sanitari genera sempre un eccesso di domanda (5). Per fronteggiare questo squilibrio esistono anche altri strumenti, quali per esempio l’introduzione di una compartecipazione alla spesa (es. il cosiddetto “ticket sanitario”) o politiche di razionamento esplicito che fissano limiti quantitativi all’accesso alle prestazioni garantite (6). Le liste di attesa costituiscono una forma di razionamento implicito, perché non impediscono la fruizione delle prestazioni sanitarie, ma semplicemente le rimandano nel tempo, rischiando così di abbassare il beneficio atteso (5). È necessario, peraltro, che questo modo di regolare l’accesso alle prestazioni non intacchi il principio dell’equità, principio fondamentale nei sistemi universalistici come quello italiano. Ne consegue che l’unico motivo per graduare l’attesa debba essere l’urgenza del bisogno (5-7). Ogni altro motivo di disparità (età, reddito, istruzione e così via) dovrebbe essere eliminato perché viola il principio dell’equità di accesso. L’obiettivo specifico del presente contributo è proprio verificare se nel nostro Paese esistono iniquità nell’accesso alle prestazioni, avvalendosi dell’indagine dell’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica) del 2013 sulle “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari”. In letteratura, peraltro, esistono alcune evidenze della presenza di disuguaglianze nei tempi di attesa a sfavore delle persone più socialmente svantaggiate, anche se è difficile trarre indicazioni più precise data l’eterogeneità degli studi effettuati in quanto a dati utilizzati, prestazioni prese in considerazione, variabili esplicative, contesto di riferimento. La maggioranza dei lavori utilizza dati provenienti da fonti amministrative, come le schede di dimissione ospedaliera o database amministrativi, (8-14). Altri utilizzano, invece, dati campionari come le indagini campionarie sulla salute (15, 16) o questionari retrospettivi distribuiti a medici o pazienti di una particolare struttura (17, 18). Queste due tipologie di dati hanno punti di forza e di debolezza in relazione al tipo di analisi oggetto del presente lavoro. Il tempo di attesa generalmente è quantificato come il numero di giorni passati in lista di attesa prima di ricevere il servizio, per i dati amministrativi (11, 12, 14) e come auto dichiarazione dei giorni o delle settimane/mesi attesi prima di ricevere un determinato servizio per le indagini campionarie (15, 16). In alcuni lavori il tempo atteso è il numero di giorni intercorsi dal momento in cui il medico di base rinvia ad un servizio secondario fino Rapporti ISTISAN 16/26 184 all’erogazione effettiva del servizio sanitario (17, 18). Un’altra modalità per verificare i tempi di attesa è metterli in relazione ad una soglia di tempo massimo, stabilito da criteri di urgenza clinica, entro il quale è necessario essere trattati per averne beneficio. Utilizzando questo concetto il tempo di attesa viene misurato come la % di persone trattate oltre questa soglia che rappresenta il limite massimo entro il quale è necessario ricevere la prestazione (9, 13). Per quanto riguarda il campo di indagine, la maggior parte degli studi analizza la relazione tra stato socio-economico e tempi di attesa per gli interventi chirurgici elettivi, o per uno specifico intervento chirurgico, generalmente interventi di protesi (9, 11, 13, 14). I lavori sulle visite specialistiche sono meno numerosi probabilmente per mancanza di dati amministrativi omogenei e consolidati (15, 16). Lo stato socio-economico viene misurato attraverso l’utilizzo di diverse proxy a seconda della disponibilità dei dati. In molti lavori si utilizzano indici di deprivazione materiale o sociale per area, calcolati generalmente con dati censuari (8-9, 11-13, 19) mentre in altri ci si limita a singole variabili: a) il reddito individuale o familiare (14-16); b) l’istruzione, generalmente misurata per livello di titolo di studio raggiunto (10, 14-16); c) condizioni occupazionali (15, 16, 18), d) qualifica professionale (17). Come variabile di controllo si utilizza lo stato di salute. In questo caso non si nota la prevalenza di una misura rispetto alle altre, ma se ne utilizzano molte, a seconda, evidentemente della disponibilità dei dati: valutazioni di salute percepita dai pazienti (questionari sullo stato di salute come EQ-5 EuroQol, SF-12/36 oppure misure specifiche di patologia come i WOMAC, The Western Ontario and McMaster Universities Arthritis Index) (18), o ancora codici delle diagnosi o tipologie di intervento nel caso di dati amministrativi quali le schede di dimissione ospedaliera (9-12, 14). Gli unici studi italiani a nostra conoscenza sono quelli di Barone del 2009 e Petrelli del 2012. Il primo analizza gli interventi di protesi d’anca dopo una frattura, per pazienti con più di 65 anni, ricoverati negli ospedali della città di Roma. Il secondo studia la relazione per diverse tipologie di operazioni elettive utilizzando dati amministrative della regione Piemonte. In entrambi i casi si mette in rilievo un’associazione con variabili di tipo socio-economico a sfavore dei gruppi più svantaggiati. Grazie alla ricchezza dei dati dell’indagine ISTAT, nel presente lavoro è possibile: a) studiare quali siano le variabili socio-economiche più rilevanti nel determinare disuguaglianze nell’accesso alle cure; b) evidenziare se tali variabili abbiano lo stesso effetto per le diverse tipologie di prestazioni, visite specialistiche, diagnostica e interventi chirurgici di elezione.
Condizioni socioeconomiche e tempi di attesa in Italia: Un’analisi empirica basata sull’Indagine Istat Multiscopo 2013, 2016.
Condizioni socioeconomiche e tempi di attesa in Italia: Un’analisi empirica basata sull’Indagine Istat Multiscopo 2013
Ivaldi E;
2016-01-01
Abstract
I tempi d’attesa sono un punto critico dei moderni sistemi sanitari (1). In tutti i principali Paesi dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) sono state sviluppate politiche più o meno efficaci per ridurli (2) perché, oltre a produrre insoddisfazione, un’attesa eccessiva rispetto al momento dell’espressione della domanda può comportare un deterioramento della salute delle persone (3) o una minor efficacia delle cure (4). D’altra parte, i tempi di attesa sono ineliminabili perché agiscono come strumento di razionamento della domanda nei sistemi a prevalente finanziamento pubblico, come quello italiano, dove l’assenza o l’uso limitato di prezzi per l’utilizzo dei servizi sanitari genera sempre un eccesso di domanda (5). Per fronteggiare questo squilibrio esistono anche altri strumenti, quali per esempio l’introduzione di una compartecipazione alla spesa (es. il cosiddetto “ticket sanitario”) o politiche di razionamento esplicito che fissano limiti quantitativi all’accesso alle prestazioni garantite (6). Le liste di attesa costituiscono una forma di razionamento implicito, perché non impediscono la fruizione delle prestazioni sanitarie, ma semplicemente le rimandano nel tempo, rischiando così di abbassare il beneficio atteso (5). È necessario, peraltro, che questo modo di regolare l’accesso alle prestazioni non intacchi il principio dell’equità, principio fondamentale nei sistemi universalistici come quello italiano. Ne consegue che l’unico motivo per graduare l’attesa debba essere l’urgenza del bisogno (5-7). Ogni altro motivo di disparità (età, reddito, istruzione e così via) dovrebbe essere eliminato perché viola il principio dell’equità di accesso. L’obiettivo specifico del presente contributo è proprio verificare se nel nostro Paese esistono iniquità nell’accesso alle prestazioni, avvalendosi dell’indagine dell’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica) del 2013 sulle “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari”. In letteratura, peraltro, esistono alcune evidenze della presenza di disuguaglianze nei tempi di attesa a sfavore delle persone più socialmente svantaggiate, anche se è difficile trarre indicazioni più precise data l’eterogeneità degli studi effettuati in quanto a dati utilizzati, prestazioni prese in considerazione, variabili esplicative, contesto di riferimento. La maggioranza dei lavori utilizza dati provenienti da fonti amministrative, come le schede di dimissione ospedaliera o database amministrativi, (8-14). Altri utilizzano, invece, dati campionari come le indagini campionarie sulla salute (15, 16) o questionari retrospettivi distribuiti a medici o pazienti di una particolare struttura (17, 18). Queste due tipologie di dati hanno punti di forza e di debolezza in relazione al tipo di analisi oggetto del presente lavoro. Il tempo di attesa generalmente è quantificato come il numero di giorni passati in lista di attesa prima di ricevere il servizio, per i dati amministrativi (11, 12, 14) e come auto dichiarazione dei giorni o delle settimane/mesi attesi prima di ricevere un determinato servizio per le indagini campionarie (15, 16). In alcuni lavori il tempo atteso è il numero di giorni intercorsi dal momento in cui il medico di base rinvia ad un servizio secondario fino Rapporti ISTISAN 16/26 184 all’erogazione effettiva del servizio sanitario (17, 18). Un’altra modalità per verificare i tempi di attesa è metterli in relazione ad una soglia di tempo massimo, stabilito da criteri di urgenza clinica, entro il quale è necessario essere trattati per averne beneficio. Utilizzando questo concetto il tempo di attesa viene misurato come la % di persone trattate oltre questa soglia che rappresenta il limite massimo entro il quale è necessario ricevere la prestazione (9, 13). Per quanto riguarda il campo di indagine, la maggior parte degli studi analizza la relazione tra stato socio-economico e tempi di attesa per gli interventi chirurgici elettivi, o per uno specifico intervento chirurgico, generalmente interventi di protesi (9, 11, 13, 14). I lavori sulle visite specialistiche sono meno numerosi probabilmente per mancanza di dati amministrativi omogenei e consolidati (15, 16). Lo stato socio-economico viene misurato attraverso l’utilizzo di diverse proxy a seconda della disponibilità dei dati. In molti lavori si utilizzano indici di deprivazione materiale o sociale per area, calcolati generalmente con dati censuari (8-9, 11-13, 19) mentre in altri ci si limita a singole variabili: a) il reddito individuale o familiare (14-16); b) l’istruzione, generalmente misurata per livello di titolo di studio raggiunto (10, 14-16); c) condizioni occupazionali (15, 16, 18), d) qualifica professionale (17). Come variabile di controllo si utilizza lo stato di salute. In questo caso non si nota la prevalenza di una misura rispetto alle altre, ma se ne utilizzano molte, a seconda, evidentemente della disponibilità dei dati: valutazioni di salute percepita dai pazienti (questionari sullo stato di salute come EQ-5 EuroQol, SF-12/36 oppure misure specifiche di patologia come i WOMAC, The Western Ontario and McMaster Universities Arthritis Index) (18), o ancora codici delle diagnosi o tipologie di intervento nel caso di dati amministrativi quali le schede di dimissione ospedaliera (9-12, 14). Gli unici studi italiani a nostra conoscenza sono quelli di Barone del 2009 e Petrelli del 2012. Il primo analizza gli interventi di protesi d’anca dopo una frattura, per pazienti con più di 65 anni, ricoverati negli ospedali della città di Roma. Il secondo studia la relazione per diverse tipologie di operazioni elettive utilizzando dati amministrative della regione Piemonte. In entrambi i casi si mette in rilievo un’associazione con variabili di tipo socio-economico a sfavore dei gruppi più svantaggiati. Grazie alla ricchezza dei dati dell’indagine ISTAT, nel presente lavoro è possibile: a) studiare quali siano le variabili socio-economiche più rilevanti nel determinare disuguaglianze nell’accesso alle cure; b) evidenziare se tali variabili abbiano lo stesso effetto per le diverse tipologie di prestazioni, visite specialistiche, diagnostica e interventi chirurgici di elezione.File | Dimensione | Formato | |
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