Dante come ossessione, cui Fellini ritorna per vie dirette e, soprattutto, indirette. Si tratta di un archetipo drammaturgico che, sottoposto a continue mascherate, viene ripreso ne La dolce vita, ne Le notti di Cabiria, ne La dolce vita, in 8 ½, ne La dolce vita, in Amarcord, ne La città delle donne, in Satyricon, in Roma, in Ginger e Fred, ne L’intervista e ne La voce della luna. E riattivato, sulla carta, in alcuni progetti di film non realizzati, come Fellini’s Inferno per la trasmissione televisiva Block-notes di un regista e come Il viaggio di G. Mastorna. Cronache di fallimenti. Esercizi di dislettura. Scritture cinematografiche interrotte, atti incompiuti, spazi liminari, che rivelano inquietudini poetiche e difficoltà. Con vis comica e gusto dell’assurdo, Fellini usa Dante per parlare di sé. Affascinato dai “libri che ti fanno crescere, rivelandoti a te stesso”, porta la Divina Commedia verso il proprio mondo. Impegnato a girare una sorta di “autobiografia continua” ricerca nel grande poeta qualcosa di sé, consegnandoci giochi di identificazione nella differenza. Si avvicina a tal punto al proprio “mito” da arrivare a coincidere con esso: ne assimila le visioni, le fantasticherie e le ossessioni, trattenendo nelle maglie dei suoi film atmosfere, barlumi, stratagemmi. Ma Dante resta un bersaglio mancato. Consapevole del fatto che, avvolta da un’aura inviolabile, la Divina Commedia è condannata a restare un’opera irrappresentabile, impossibile da adattare e da portare sul grande schermo, Fellini, perciò, si sottrae alla tentazione di riscriverne la complessità multiforme, animato dalla convinzione secondo cui la “settima arte” deve riuscire ostinatamente a difendersi da ogni rischio di sudditanza nei confronti della parola letteraria, perché custodisce una propria autonomia linguistico-espressiva e un proprio potere metamorfotico-trasfigurativo.
Disletture dantesche: Federico Fellini e la Commedia, 2021.
Disletture dantesche: Federico Fellini e la Commedia
trione
2021-01-01
Abstract
Dante come ossessione, cui Fellini ritorna per vie dirette e, soprattutto, indirette. Si tratta di un archetipo drammaturgico che, sottoposto a continue mascherate, viene ripreso ne La dolce vita, ne Le notti di Cabiria, ne La dolce vita, in 8 ½, ne La dolce vita, in Amarcord, ne La città delle donne, in Satyricon, in Roma, in Ginger e Fred, ne L’intervista e ne La voce della luna. E riattivato, sulla carta, in alcuni progetti di film non realizzati, come Fellini’s Inferno per la trasmissione televisiva Block-notes di un regista e come Il viaggio di G. Mastorna. Cronache di fallimenti. Esercizi di dislettura. Scritture cinematografiche interrotte, atti incompiuti, spazi liminari, che rivelano inquietudini poetiche e difficoltà. Con vis comica e gusto dell’assurdo, Fellini usa Dante per parlare di sé. Affascinato dai “libri che ti fanno crescere, rivelandoti a te stesso”, porta la Divina Commedia verso il proprio mondo. Impegnato a girare una sorta di “autobiografia continua” ricerca nel grande poeta qualcosa di sé, consegnandoci giochi di identificazione nella differenza. Si avvicina a tal punto al proprio “mito” da arrivare a coincidere con esso: ne assimila le visioni, le fantasticherie e le ossessioni, trattenendo nelle maglie dei suoi film atmosfere, barlumi, stratagemmi. Ma Dante resta un bersaglio mancato. Consapevole del fatto che, avvolta da un’aura inviolabile, la Divina Commedia è condannata a restare un’opera irrappresentabile, impossibile da adattare e da portare sul grande schermo, Fellini, perciò, si sottrae alla tentazione di riscriverne la complessità multiforme, animato dalla convinzione secondo cui la “settima arte” deve riuscire ostinatamente a difendersi da ogni rischio di sudditanza nei confronti della parola letteraria, perché custodisce una propria autonomia linguistico-espressiva e un proprio potere metamorfotico-trasfigurativo.File | Dimensione | Formato | |
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