Il saggio ricostruisce un nodo irrisolto: quello del rapporto tra il processo rivoluzionario messicano, l’internazionalismo comunista e le culture socialiste e di sinistra nella prima parte del XX secolo. Di quel rapporto mai consumato, si tenta di ricostruire alcuni frammenti decisivi, attraverso due prospettive. Nella prima parte del saggio si cerca infatti di comprendere come, alla fine del lungo regime (autoritario ma non militarista) di Porfirio Díaz (1876-1910) le tesi del socialismo e dell’anarchismo europeo penetrarono nel poroso e dinamico liberalismo messicano. Si trattò di un processo limitato e frammentato che finì però per influenzare, con distinti stadi di metabolizzazione, alcuni cruciali passaggi di un processo rivoluzionario che fu essenzialmente endogeno e nazionalista. Tutto ciò va però inserito nei giusti confini e proporzioni e non va dimenticato che, tanto all’epoca di Madero (1911-1913), quanto nelle fasi della controrivoluzione huertista (1913-1914), della guerra civile (1914-1917) e, ancor più del trionfo costituzionalista (1917-1920) e della stabilizzazione postrivoluzionaria (1920-1928), la dialettica tra dimensione popolare ed elitaria nei diversi fronti rivoluzionari produsse una miscela peculiare nella storia delle rivoluzioni sociali novecentesche. La seconda chiave di lettura ci porta invece a rovesciare i fattori: per provare a comprendere come l’interpretazione della rivoluzione, attraverso filtri culturali, ed etnico-geografici (ancor prima che politici) esterni, abbia prodotto deformazioni e alterazioni. Questo avvenne in primo luogo da parte di Mosca e del Comitern, anche per la difficoltà di applicare i criteri bolscevichi e dell’internazionalismo sovietico al particolare caso del Messico, ben oltre i limitati confini dei partiti comunisti messicani. D’altro canto una certa distanza culturale (a cominciare dalla reale comprensione dell’elemento indigeno e delle sue dinamiche silenziose) segnò, pur in termini assai diversi, anche il rapporto con le altre culture della sinistra europea.

La rivoluzione messicana: un processo nazionale, tra l’età dei socialismi e quella dell’internazionale comunista, 2016-09.

La rivoluzione messicana: un processo nazionale, tra l’età dei socialismi e quella dell’internazionale comunista

DE GIUSEPPE, MASSIMO
2016-09-01

Abstract

Il saggio ricostruisce un nodo irrisolto: quello del rapporto tra il processo rivoluzionario messicano, l’internazionalismo comunista e le culture socialiste e di sinistra nella prima parte del XX secolo. Di quel rapporto mai consumato, si tenta di ricostruire alcuni frammenti decisivi, attraverso due prospettive. Nella prima parte del saggio si cerca infatti di comprendere come, alla fine del lungo regime (autoritario ma non militarista) di Porfirio Díaz (1876-1910) le tesi del socialismo e dell’anarchismo europeo penetrarono nel poroso e dinamico liberalismo messicano. Si trattò di un processo limitato e frammentato che finì però per influenzare, con distinti stadi di metabolizzazione, alcuni cruciali passaggi di un processo rivoluzionario che fu essenzialmente endogeno e nazionalista. Tutto ciò va però inserito nei giusti confini e proporzioni e non va dimenticato che, tanto all’epoca di Madero (1911-1913), quanto nelle fasi della controrivoluzione huertista (1913-1914), della guerra civile (1914-1917) e, ancor più del trionfo costituzionalista (1917-1920) e della stabilizzazione postrivoluzionaria (1920-1928), la dialettica tra dimensione popolare ed elitaria nei diversi fronti rivoluzionari produsse una miscela peculiare nella storia delle rivoluzioni sociali novecentesche. La seconda chiave di lettura ci porta invece a rovesciare i fattori: per provare a comprendere come l’interpretazione della rivoluzione, attraverso filtri culturali, ed etnico-geografici (ancor prima che politici) esterni, abbia prodotto deformazioni e alterazioni. Questo avvenne in primo luogo da parte di Mosca e del Comitern, anche per la difficoltà di applicare i criteri bolscevichi e dell’internazionalismo sovietico al particolare caso del Messico, ben oltre i limitati confini dei partiti comunisti messicani. D’altro canto una certa distanza culturale (a cominciare dalla reale comprensione dell’elemento indigeno e delle sue dinamiche silenziose) segnò, pur in termini assai diversi, anche il rapporto con le altre culture della sinistra europea.
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